di Marco Maria Freddi
L’accoglienza della “Luce della Pace da Betlemme” nel Consiglio Comunale di Parma rappresenta un chiaro esempio di come uno Stato che si definisce laico fatichi a mantenere una netta separazione tra politica e religione. Questa celebrazione, pur mascherandosi da gesto simbolico di pace e fratellanza, è profondamente radicata in un rituale religioso, alimentando una contraddizione che mina il principio stesso della laicità.
Le religioni adottano strategie precise per perpetuarsi: iniziano dai più piccoli. L’indottrinamento avviene in un’età in cui i bambini non possiedono ancora gli strumenti critici per mettere in discussione ciò che viene loro insegnato. I dogmi vengono presentati come verità assolute, spesso accompagnati dalla minaccia implicita di punizioni eterne per chi non li rispetta.
Un bambino nasce curioso, pronto a esplorare il mondo senza alcuna nozione di dèi, peccati o scritture sacre. Tuttavia, quando viene immerso in un contesto religioso, la sua capacità di pensare autonomamente viene progressivamente compromessa. Attraverso rituali, canti e ripetizioni, le credenze si fissano come verità incontrovertibili, lasciando un segno indelebile che accompagna l’individuo nell’età adulta. È così che molti adulti, incapaci di separare il proprio credo personale dalla vita pubblica e politica, finiscono per sostenere iniziative religiose anche in spazi istituzionali.
L’arrivo della Luce della Pace a Parma, accolta dalla assessora alla Partecipazione con delega alla Pace (La delega alla Pace esprime chiaramente il rifiuto del confine tra amministrazione laica e influenze religiose della Chiesa Cattolica e del Vescovo) e dal presidente del Consiglio Comunale Michele Alinovi si presenta come un gesto di pace e solidarietà.
Ma la sua origine, profondamente radicata nella tradizione cristiana, solleva interrogativi sulla neutralità dello Stato. La lanterna accesa in Municipio non rappresenta un simbolo universale di pace, bensì un gesto strettamente connesso a una specifica tradizione religiosa. Sebbene il messaggio di pace e fratellanza sia indubbiamente nobile, il contesto religioso da cui proviene non può essere ignorato. L’evento ha previsto momenti di preghiera e riflessione basati su un tema religioso: “Il Dio della Speranza ci riempia di gioia e di pace”. Questo appare in evidente contrasto con il principio di uno Stato laico, che dovrebbe garantire pari dignità a tutte le convinzioni, senza favorire alcuna religione nel rispetto di chi crede e chi no.
Questa contraddizione è alimentata dai numerosi “laici devoti” presenti nella politica parmigiana: individui che, pur operando in contesti civili, non riescono a scindere il proprio credo personale dalle decisioni istituzionali. Accettare una celebrazione religiosa in uno spazio pubblico è il risultato di una mancata separazione tra fede e politica, conseguenza diretta di un indottrinamento iniziato nell’infanzia.
“Laici devoti” e mancata separazione tra fede e politica
Un autentico Stato laico dovrebbe garantire che simboli e riti religiosi non influenzino le istituzioni, promuovendo pace e solidarietà attraverso valori universali, privi di connotazioni confessionali. L’educazione dovrebbe insegnare come pensare, non cosa pensare. Solo così possiamo garantire alle future generazioni la libertà di scegliere, di credere o di non credere, senza condizionamenti imposti sin dalla tenera età.
Solo così possiamo costruire una società autenticamente libera, dove la pace non abbia bisogno di simboli religiosi per essere celebrata.
(26 dicembre 2024)
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