di Redazione Parma
Nel 2036 il Nobel per la medicina potrebbe essere assegnato a una applicazione di Intelligenza Artificiale. Ma già nel 2028 ci sarebbe iHealthy, lo smartphone diventato assistente sanitario personale. Il “Futuro della sanità” immaginato da The Economist nella sua annuale raccolta di scenari (2021) , è più realistico e vicino di quanto si potesse pensare prima della pandemia.
Il Covid 19 ha infatti impresso una forte accelerazione all’avanzamento tecnologico. A partire dai tempi record impiegati per ottenere vaccini efficaci e disponibili su larga scala. Ma più in generale facendo fare in poco tempo all’intera società salti in avanti di anni. Ma anche, per quanto possa apparire paradossale, balzi indietro ancor più sensazionali. Visto che al primo manifestarsi della pandemia sono riapparsi i fantasmi e le paure delle antiche pestilenze.
Gli italiani in smart working erano poco meno di 700 mila a gennaio 2020: a maggio 2021 sono diventati più di 8 milioni. In tre mesi, in occasione del primo lockdown, i pagamenti elettronici sono aumentati del 68%, con un incremento percentuale di 11 punti: lo stesso registrato dal 2011 al 2019. Ma nel 2020 secondo l’Ocse, si è perso anche quel che si era guadagnato in più di un decennio, dalla crisi del 2008. Nel contempo che per effetto delle ingenti risorse pubbliche richieste per fronteggiare la pandemia il debito globale rispetto al pil è salito al 355% nel 2021. L’anno peggiore, secondo gli economisti, dalla fine della II Guerra mondiale. Però il migliore di sempre per Big Pharma che con i vaccini ha realizzato il più grande business della sua storia.
Arduo come sempre fare previsioni. Ma è molto probabile che smart working ed e-learning, al pari delle mascherine, resteranno, ancorchè in misure variabili, in modo permanente nelle nostre esistenze; perché sempre più ibride, non più separate, ma continuamente in grado di passare dall’off all’on line e viceversa. E’ già pronto il neologismo: phygital ( fisico+digitale). Essere figitali, ossia ibridi, presenti e distanti, vicini ma lontani, indipendentemente dall’essere live o sullo screen, sarà presto una condizione abituale di vita e non solo di studio o lavoro. Come già sembra indicare l’altro neologismo figlio della pandemia: workaction che scaturisce dalla fusione di due parole, fino a ieri accostabili solo per scherzo: work + vacation (ossia lavoro + vacanza). I nomadi digitali sono un’inedita razza di lavoratori in rapida moltiplicazione.
Competenze ibridanti sono peraltro un concetto guida nell’ambito del mercato del lavoro e delle professioni. Né vi sono dubbi che anche il virus, con il suo carattere mutante e virale, sia perfetto per rappresentare l’assoluta emergenza e rilevanza dei social media, dove la viralità è appunto un fattore di successo decisivo, e più in generale una situazione di travolgente mutamento.
Che lo si voglia accettare o meno il Grande Reset, ormai entrato nel linguaggio comune, ci costringe a riprogettare velocemente le nostre esistenze. Visto ad esempio che 9 lavoratori su 10 esprimono il desiderio di non ritornare più in ufficio a tempo pieno. Con la consapevolezza però che sarà terribilmente faticoso cambiare radicalmente abitudini e immaginare un domani che già prima della pandemia sentivamo ostile. Ma che covid19 a dispetto delle immagini idilliache del primo lockdown, scandite dai beneauguranti hastag #insiemecelafaremo e #tuttoandràbene, ha ancor più accentuato. Come dimostra l’aumento dei conflitti familiari e delle violenze di piazza innescate da no-vax e no-green pass.
A livello internazionale non è andata meglio. La guerra dei vaccini, usati come arma di pressione geo-politica o strumento per affermare supremazie tecnologiche nazionali è, puntualmente, lì a dimostrarlo. Allo stato attuale e forse mai come ora le previsioni devono avere ben presente il nostro passato prossimo. Perché è altamente probabile che il sentimento negativo che ci portiamo addosso da tempo non svanirà d’incanto. E che non si attenuerà da un giorno all’altro quella disruptive economy, in azione da anni, che la pandemia ha fatto deflagrare. Prospettandoci realisticamente periodi di grande turbolenza, nei quali le situazioni, le parti in gioco, i sentimenti, le età della vita, gli stati dell’essere nella sua varietà di manifestazioni sociali, giusto per aumentare il clima di incertezza, sfumano, si mescolano, contraddicono, sovrappongono
Ovunque, per ribadire il concetto, è lo stato ibrido che si manifesta e impone. Concezioni e idee fondanti come democrazia e libertà sono oggi interpretate in modi molto variabili e perfino antitetici. Sistemi economici e politici assolutamente alternativi sino a ieri, come capitalismo e comunismo, tendono ora a fondersi e confondersi. Alla stessa maniera della contrapposizione sinistra-destra o globale-locale che risulta sempre più sfumata. I passaggi di stato, da una condizione all’altra, ma in modi non permanenti, sono propri e costitutivi della “società mobile”, ormai pienamente dispiegata. Tutto è in movimento e la transizione accelerata dal pervasivo processo di digitalizzazione è un processo sistemico al quale niente e nessuno può e potrà sottrarsi.
Lo scenario prossimo è molto confuso, turbolento e rischioso. Tuttavia rimpiangere i tempi in cui tutto era chiaro e definito o lamentarsene serve a poco. Perché comunque non torneranno. Più utile e produttivo è invece partire dalla consapevolezza che ogni crisi è anche una straordinaria opportunità di scelta. L’occasione per decidere cosa della nostra storia personale e collettiva vogliamo abbandonare o portarci appresso. Provando a immaginare, appunto, quella società ibrida che, accelerata dalla pandemia, è in piena azione. Sconvolgendo tutte le abitudini, soprattutto quelle più consolidate.
Questa d’altronde è la traiettoria che propone il presente saggio: cercare di immaginare una nuova normalità, muovendo dall’urgenza di ripensare l’organizzazione del lavoro e il sistema di welfare. Di riparare diseguaglianze economiche e sociali ormai intollerabili su scala mondiale. D rivalutare cura delle persone e salute pubblica, valore politico e sociale di beni elementari, ma fondamentali, come il verde, l’aria pulita, gli spazi pubblici, la mobilità dolce e l’uso sostenibile delle risorse. Praticamente ciò che oggi risulta più compromesso, ma indispensabile per materializzare un futuro amico, un mondo accogliente, una società aperta.
Giorgio Triani. Sociologo e giornalista. Insegna all’Università di Parma (Corso di Giornalismo e Master in comunicazione digitale, mobile e social). Cura report previsionali per conto di imprese e pubbliche amministrazioni. Collabora con giornali e magazine. Commentatore per QN, Quotidiano nazionale. E’ autore di L’ingorgo. Sopravvivere al troppo, Eleuthera, 2010, Il futuro è adesso. Società mobile e istantocrazia, Edizioni San Paolo, 2013, Giornalismo aumentato. Realtà e scenari di una professione in rivoluzione, Angeli, 2017, Allegre apocalissi. Il (passata) futuro che ci attende, Castelvecchi, 2018.
(10 aprile 2022)
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