di Marco Maria Freddi
Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito con i loro commenti ad aprire un percorso attorno al futuro dei nostri figli, al consumo di carne non umana, dei suoi derivati, agli allevamenti e ad una agricoltura non più sostenibile.
Da convinto antispecista credo il mio pensiero si riassuma nella negazione della centralità antropocentrica, della negazione di un irresponsabile dominio incontrastato degli umani sul mondo che oggi deve essere sostituito dal primato della sostenibilità ambientale e da un’idea ecologista come paradigma di cultura collettiva.
Provo ad aggiungere una breve riflessione sul valore delle “tradizioni”, quasi sempre nate più da una spinta di moderno marketing che dalla realtà; ricordo che fino al boom economico, i nostri concittadini più che sagre, tortellini e manicaretti avevano le “pezze al culo” e tanto era se arrivano a sera conciliando i pasti canonici, tradizioni per pochi, pochissimi fino al boom economico ma che tanto fanno bene al PIL ed al nostro orgoglio nazionale.
Tornando alle “tradizioni”, chi mai fosse passato da Chicago ed avesse mai seguito la strada parallela a lago Michigan, arriva a Plymouth, tipica piccola cittadina americana nello Stato del Wisconsin nella quale vi ritroverete in un racconto americano degli anni Cinquanta, uno dei tanti racconti visti al cinema o in televisione e percorrendo le vie della cittadina, prima o poi, arriverete davanti alla sede di una azienda “italiana”, un’azienda fondata da un italiano, un immigrato italiano, un casaro italiano. Negli anni Trenta, Paolo Sartori, passando per NY, arrivò in Wisconsin, Stato che neppure immagino come potesse essere all’epoca, e ci arrivò perché casaro, attratto dalle notizie della ricca agricoltura e del clima che ne hanno fatto un luogo ideale per l’allevamento dei bovini da latte. Paolo Sartori, casaro italiano di mestiere, fondò la Sartori Cheese, un immigrato che aveva il sogno di produrre il miglior formaggio del mondo.
Il motivo per cui vi racconto tutto ciò è che, al netto degli allevamenti americani che non sono più sostenibili al pari di quelli europei, mi domando perché una tradizione casara italiana, fatta vivere da un italiano – oggi diremmo da un patriota – in un luogo lontano dal luogo di nascita, con tanta sofferenza, angoscia, tormento e tribolazione non possa essere considerata “italiana”. Girando il Wisconsin, troverete aziende “francesi”, “tedesche”, “polacche” e tante altre origini europee che producono specialità del nostro continente, specialità che immigrati europei hanno fatto vivere e le hanno fatte vivere perché il legame con la terra di origine è qualcosa che mai si dimentica. Il formaggio Grana, il Parmesan, l’Asiago ma anche il Camembert, il Chablis o il Brie prodotti nel Wisconsin sono prodotti, ieri come oggi, come era tradizione all’inizio del secolo scorso, diverso da ciò che oggi vediamo e consumiamo, – il parmigiano-reggiano degli anni Trenta non è ciò che vediamo oggi – sono la testimonianza dell’impegno di italiani e francesi che non hanno voluto abbandonare i gusti e le tradizioni della loro terra.
Mi domando perché abbiamo concesso il voto politico a persone che per la quasi totalità neppure sanno dove geograficamente si trova la regione Europea chiamata Italia ma non riconosciamo dignità agli eredi delle sofferenze dell’immigrazione italiana, alla loro professionalità, agli eredi di un sogno di immigrati italiani, preferiamo definire i loro prodotti in modo dispregiativo “italian product sounding”, “fake italian” o altro ancora, invece che premiare i prodotti nati dall’amore per la terra di origine di persone che per fame e povertà hanno lasciato il nostro Paese.
Paolo Sartori, negli anni Trenta ha lasciato l’Italia con l’idea di dare un miglior futuro alla sua famiglia, ai suoi figli, far vivere un sogno che in Italia non sarebbe diventato realtà, quale colpa nell’aver proseguito, in una terra lontana, fare l’unica cosa che sapeva fare? Perché il suo saper fare ha perso cittadinanza italiana?
(23 novembre 2022)
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