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Di metodo di comunicazione un po’ imbarazzante che allontana certe organizzazioni LGBTI dalla gente comune

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di Paolo M. Minciotti

Abbiamo ricevuto, e pubblicato perché , il comunicato stampa del Comitato Organizzatore del Parma PRide che si terrà in città il 21 giugno; un comunicato – ci sia consentito – il cui linguaggio non avvicinerà certamente alle istanze di cui ogni comitato che si occupi di diritti di tutte e tutti dovrebbe essere portatore, chi abbia da ridire o da recriminare (che sono quelli con cui bisogna fare la pace, perché la pace si fa coi nemici, non con gli amici).

In apertura si parla di costante successo (il comunicato integrale è al link in alto) riscosso negli anni, quando sarebbe stato assai più appropriato parlare di costante consenso perché nel campo dell’ottenimento di diritti negati prima si crea consenso e poi si ottiene il successo di vedere, eventualmente e avendo fortuna, che il consenso ha portato risultati. L’infelice espressione costante successo sarebbe assai più adatta a un Festival di Sanremo che però, disgraziatamente e con giubilo dell’attuale direttore artistico Carlo Conti, non è un Gay Pride che sarebbe – ci permetterete – assai più vicino allo spirito di Eurovision 2025 che però, disgracefully, non si tiene a Parma, non è a giugno e non è nemmeno un gay pride.

Dovrebbe inoltre essere noto che consensorisultati molto raramente vanno di pari passo.

Colpisce poi l’espressione “rivendicare l’orgoglio della comunità LGBTQIA+ e parità di diritti”. E si sorride quando si legge il riferimento al format generale della manifestazione quasi fosse una produzione televisiva.

Vorremmo far notare sommessamente agli organizzatori e alle organizzatrici della manifestazione parmigiana, che il Parma PRide è alla quarta edizione e giunge abbondantemente ultimo, con un ritardo di almeno trent’anni, rispetto alla marcia italiana verso i diritti e dopo che tutti i diritti possibili in questo paese erano già stati ottenuti, non per merito di voi che avete realizzato il primo Parma Pride nel 2020 o 2021, abbondantemente dopo l’approvazione delle Legge monca sulle Unioni Civili del Governo Renzi.

Non se ne avranno altri con questi chiari di luna, ed è a non perdere quelli già acquisiti che l’attivismo della città di Parma, dovrebbe concentrare azione e comunicazione.

Prima di parlare di rivendicazione, sarebbe necessario quindi preparare una piattaforma rivendicativa e politica sulla quale poi agire. Rendendola nota e condivisa da tutte le forze politiche e presentandola prima a quelle che non sono d’accordo. Perché con quelle amiche il passo è semplice. Il saluto al Sole, ci permetterete, è un po’ poco. A meno che non si lavori sul gay pride guarda-che-bello-il-gay-pride e finisca lì.

Consiglieremmo dunque un po’ di prudenza nel linguaggio, persino a saperlo usare, e la conoscenza del fatto che molti di coloro che oggi devono sorbirsi comunicati distanti dalla realtà che la gente comune nemmeno prenderà in considerazione, erano già stati presi a pugni e a calci (tra loro anche chi scrive) per portare a casa i diritti di cui oggi la comunità LGBTIQA+ gode; persone che non vengono nominate mai apparendo la comunicazione strettamente legata all’orticello del contributo comunale di oggi e a una poco condivisibile piaggeria con la quale, usando toni sopra le righe, si ringrazia la politica (e in un modo che non fa bene nemmeno alla politica).

La politica, amiche e amici, non dà il Patrocinio a manifestazioni che non ritenga prima di tutto utili a se stessa e alla comunità che governa. Come è giusto che sia. Ed è dunque totalmente fuori luogo la citazione “il Parma Pride è realizzato da un Comitato Organizzatore che vanta [sic] il patrocinio del Comune di Parma”: i patrocini non si vantano, i patrocini vengono concessi con voti e delibere che sono atti pubblici e non vengono concessi MAI ai comitati organizzatori, bensì alle manifestazioni.

Ignorare l’abc, vantandosene, rischia di lasciare intendere di ritenersi osservati con un occhio di riguardo dividendo i baciati dal potere (voi) dagli altri: un atteggiamento che non è solo arrogante, ma è persino dannoso per la politica che sposa, patrocinandolo e sostenendolo, un evento. E che un giorno vi presenterà il conto, state a vedere.

Auspichiamo quindi, oltre a una grande partecipazione e all’accoglienza festosa già vissuta nell’edizione 2024 (c’eravamo, e l’abbiamo documentata) che queste organizzatrici e organizzatori affinino il loro linguaggio, magari facendosi dare una mano da chi conosce di comunicazione, che non è quella da social, soprattutto su temi politici, imparando a mettere da parte autocelebrazioni un po’ immature che altri ci hanno già regalato con florilegi di egopatia che sono stati triste caratteristica di forze politiche dal + 30% di consensi.

Addirittura loro (quando si dice la sfiga), si sono dovute adattare a un linguaggio più consono e che non creasse distanze eccessive tra essi e le forze sociali che volevano/dovevano rappresentare.

Questa opinione verrà presa come una critica feroce, e ne siamo consapevoli. Ma è in realtà solo un incoraggiamento a fare meglio, perché ci piaccia o no c’è sempre bisogno di fare, fare, fare; ed è anche un augurio che, mettendo da parte il sentirsi come coloro che stanno cambiando la storia, si scenda a più umili modus operandi. Perché la storia, spiace ricordarvelo, non l’avete fatta voi: l’ha fatta chi in piazza c’era quando la gente non applaudiva dalle finestre, ma gettava acqua e piscio dai balconi al grido di fxxxi di mxxxa. Voi non c’eravate. Io sì.

E siccome il rispetto me lo sono conquistato coi denti lo pretenderei anche per la storia di cui sono portatore da chi digita comunicati stampa un po’ fuori luogo (e fuori tempo).

Dunque salut’a vvuje (e pure al Sole) e arrivederci a giugno.

P.S. I droni possono cadere.

 

 

(6 aprile 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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