di G.G.
Decantati i bollori dell’immediato post-referendum abbiamo voluto incontrare, con una breve intervista che trovate anche in podcast su Radiogaiaitalia.com, uno dei promotori della consultazione per la città di Parma. Si tratta di Luca Amadasi, 30 anni, Laurea in Economia, iscritto a +Europa fin dalla fondazione nel 2017. Europeista, liberale, attivista per i diritti civili e le libertà individuali, dopo aver fondato e guidato la sezione locale di Parma, viene eletto in Assemblea ed in Direzione Nazionale. Candidato alla Camera dei Deputati nel 2022, ha poi costituito e coordinato il Comitato Referendario Cittadinanza Parma.
A lui abbiamo chiesto di esprimersi su alcune questioni che gli abbiamo sottoposto, e che proponiamo a lettrici e lettori di seguito.
Chiusa la parentesi referendum, ci troviamo di nuovo di fronte a una politica dove tutti vincono e nessuno perde. Considerazioni?
Credo dobbiamo essere sinceri. Il quorum non è stato superato e quindi la legge che come comitato referendario volevamo modificare è rimasta tale.
Questo significa, purtroppo, che il movimento referendario ne è uscito sconfitto, mentre chi si è opposto cavalcando l’astensione ha prevalso.
Tuttavia, a perdere sono soprattutto i cittadini, quelli che chiedono a gran voce dei diritti e che si aspettano un cambiamento che in Italia non arriva mai.
All’immobilismo e incapacità della classe politica e di governo, in particolare di questa maggioranza di governo, si aggiunge anche il cronico e costante sabotaggio dei referendum.
Il risultato è che tutti si rendono conto che nulla funziona ma allo stesso tempo niente cambia mai.
Trova corretta la valutazione “quindici milioni di votanti, 13 milioni di sì, contiamo quanto il governo”?
No non la trovo corretta. L’unica vittoria possibile sarebbe stata il superamento del quorum.
Ogni narrazione differente basata su conteggi e confronti di voti è solo un palliativo, oltre a sminuire lo strumento del Referendum che dovrebbe servire per riformare il Paese e non essere un “sondaggione” per contarsi. Però, ammettendo che gli oppositori del referendum hanno vinto, è d’obbligo sottolineare che nemmeno tutte le persone che non hanno votato possono essere considerate tutti contrari ai quesiti o sostenitori del governo. Molte sono, purtroppo, persone disinteressate o non informate, che si astengono cronicamente dal voto e che in realtà non esprimono un’opinione, né favorevole né contraria.
Per questo, comunque, il referendum serve a segnalare alla politica la persistenza di una società civile composta da molti milioni di persone che non si arrendono, partecipano, si interessano e non cedono all’ignavia e alla propaganda astensionista.
Un nostro recente sondaggio mostra che molti lettori ritengono che l’istituto referendario vada riformato. Lei cosa ne pensa?
Sì su questo, concordo. Il referendum, così com’è, è uno strumento utile ma molto fragile e ormai quasi svuotato di significato.
Viene spesso ostacolato da iter burocratici complicati, cavilli interpretativi che ne impediscono lo svolgimento e, anche quando soni resi possibili, da campagne informative pubbliche carenti.
Ma il problema principale è che lo strumento referendario può essere troppo facilmente sabotato. E’ sufficiente spingere anche solo una piccola parte del proprio elettorato a non votare per fare fallire ogni referendum, sfruttando e legandosi proprio all’astensione “cronica”, di cui parlavo prima, che caratterizza qualunque tipo di elezione in Italia negli ultimi 20 anni.
In questa situazione è impossibile immaginare qualunque tipo di referendum possa avere successo anche in futuro.
Se ritenesse che andrebbe riformato in quale direzione andrebbe fatto?
Questo è un dibattito delicato.
Ricordiamoci che la nostra Costituzione stabilisce, giustamente, che l’Italia è una democrazia rappresentativa, quindi indiretta. Le principali decisioni politiche devono essere prioritariamente prese dai rappresentanti eletti dei cittadini, questo per evitare le derive populistiche e plebiscitarie che possono derivare dall’abuso di democrazia diretta.
Quindi, a mio parere, abolire completamente il quorum, come qualcuno anche della mia area politica propone in questo momento, è eccessivo e può portare a storture importanti come il rischio di far modificare leggi fondamentali da una ristretta minoranza di elettori.
Tuttavia, è sempre la costituzione che prevede, tra le forme e i modi in cui il popolo esprime la propria sovranità, lo strumento del Referendum. Questo per dare un potere di intervento in più ai cittadini, soprattutto quando la politica è bloccata e latita su un certo tema per decenni.
Se vogliamo quindi salvare questo istituto e garantirgli quella funzione prevista anche dalla costituzione, credo sia necessario mantenere ma modificare il quorum, ri-calcolandolo in base all’affluenza delle elezioni politiche precedenti. Un quorum più facile da superare incentiverebbe i contrari ai quesiti a recarsi al voto, aumentando la partecipazione e la qualità del dibattito.
Un quorum più basso e raggiungibile si può bilanciare con un innalzamento della soglia firme necessaria per indire il referendum, vista l’oggettiva maggiore facilità di raccolta grazie alle firme digitali.
Perché la politica è così ingessata sul poco quando non pochissimo, come se un reale miglioramento del paese non fosse necessario?
Provo ad usare un esempio: prendiamo la riforma della Cittadinanza, il referendum che ho personalmente sostenuto fondando il comitato per il Sì a Parma.
Siamo un paese in profondo declino demografico, con carenza di giovani, di studenti, di lavoratori specializzati, di medici, insegnanti, con l’età media della pubblica amministrazione più alta d’Europa e il tasso di natalità più basso.
Per l’Italia, creare delle forme, delle regole, dei canali, certi, sicuri e giuste per accogliere, integrare e rendere quante più persone parte attiva della nostra comunità, dovrebbe essere una priorità assoluta.
Ma chi è al potere non fa nulla perché teme di perdere consenso soprattutto tra le fasce più xenofobe o anche soltanto diffidenti della società.
E questo vale per tanti altri temi: in un paese con un debito pubblico ed un’evasione fiscale da record non si riesce ad efficientare la spesa pubblica e riformare il fisco per non scontentare chi di spesa pubblica improduttiva e di evasione vive.
Quindi in sostanza manca coraggio. E perché chi ha il potere teme che un vero cambiamento metta in discussione gli equilibri di potere, le rendite di posizione, i consensi consolidati. La politica è spesso più interessata a una gestione dell’esistente, nel breve periodo, che alla visione di futuro. Ma in questo momento il paese ha bisogno di riforme strutturali, non di piccoli ritocchi elettorali.
Il problema è che molte delle riforme necessarie per ripartire sono spesso impopolari.
E come si combatte contro posizioni oscurantiste e la riscrittura della realtà che sta operando il governo Meloni?
Premetto che certo oscurantismo e certa riscrittura della realtà non solo ed esclusivamente prerogativa del governo Meloni, anche se loro ne sono ampi utilizzatori e principali protagonisti; ma non sono sicuramente gli unici.
Quindi è questo un punto da cui partire. Essere innanzitutto diversi da loro. Con una mobilitazione basata su concretezza, dati e su quel coraggio che dicevo prima. Serve una linea politica che non si limiti alla denuncia e all’indignazione, ma costruisca alternative reali. E serve una nuova generazione politica capace di parlare alle persone con chiarezza, senza giri di parole e senza scendere sul terreno della paura e della propaganda.
Per questo, cultura, l’istruzione e il giornalismo libero rimangono comunque strumenti fondamentali in questa battaglia.
Come vede la sua Parma all’interno di queste dinamiche?
Fortunatamente Parma è una città viva, culturalmente aperta, con un forte senso civico e di partecipazione.
Sicuramente anche qui arrivano certe contraddizioni del nostro tempo: giovani in cerca di spazi di ascolto, alcuni quartieri che si sentono più periferici ed abbandonati di altri, e c’è una parte di tessuto sociale che ha delle necessità di maggiore inclusione.
Però fortunatamente la città si è ripresa molto bene dopo gli anni dell’amministrazione Vignali e del fallimento, periodi molto bui e pesanti per la città
In 10 anni di amministrazione Pizzarotti, che prosegue ora con gli ultimi 3 anni del nuovo Sindaco Guerra, la città è rinata e il fermento è tanto: nei comitati, nei movimenti studenteschi, nelle associazioni. Parma è sempre stata un laboratorio di innovazione democratica, con una rete di forze progressiste che cerca di dare voce a chi di solito è ai margini del dibattito pubblico.
Si è visto anche durante la campagna referendaria. Tantissimi movimenti partiti, associazioni e semplici cittadini si sono uniti e mobilitati portando Parma ad essere una delle città d’Italia dove si è votato di più.
(18 giugno 2025)
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