di Vanni Sgaravatti
La guerra di Putin, oltre a riguardare questioni relative all’immoralità e all’ingiustizia, è anche una grande violazione del diritto internazionale e delle convenzioni su cui si regge l’ordine mondiale.
Non faccio paragoni con orrori tra azioni imperialiste, perché qualsiasi considerazione su questo piano si presta a strumentalizzare le vittime, che, poche o tante che siano, vanno tutte rispettate. Ma, dal punto di vista della violazione del diritto internazionale, si possono fare confronti. Mi riferisco al caso citato da molti, come simile a quello dell’invasione dell’Ucraina: l’invasione dell’Iraq, ricordato, così, per fare “pari e patta”.
Non esplicito la differenza pensando al confronto tra Zelensky e Saddam Hussein, ma piuttosto sul fatto che allora furono costruite prove, portate in tutte le sedi internazionali, per legittimare l’invasione dell’Iraq, che, in precedenza, aveva occupato il Kuwait. Risultarono poi prove false. Proprio per questo, le proteste chiedevano il ritiro degli Americani, così come lo chiedono oggi alla Russia. Ma quando fu dimostrata la falsità, gli Americani si erano già ritirati. Si voleva la testa del capo in comando: Bush. Non era più Presidente: poi venne Clinton, Obama e altri.
L’umore personale sul fatto che la democrazia con il tempo permette ad alcuni di cavarsela lascia il tempo che trova. Nessuno ha fatto suicidare Bush, in effetti. Sto parlando di violazioni al processo per la gestione del diritto internazionale, pianificate e attuate senza alcun consenso preliminare, indipendentemente dalle valutazioni negative successive. Se la Russia si ritirasse e ci fosse un’altra persona al comando in Russia e non Putin e trovandomi a cena con amici, parlando di storia e volendo io puntare il dito sull’inaffidabilità (oltre che immoralità) dei Russi nel mondo e qualche amico mi dicesse: “e gli americani?”. Ecco, sarei il primo a chinare la testa dicendo: “ahimè è vero”. Ma. siamo in questa situazione?
E che cosa c’entrano i giapponesi?
Si parla di due egemonie? Ma era diversa la situazione al tempo di Pearl Harbour? Direi proprio di no. Gli americani erano in Asia e nel Pacifico ancora più imperialisti ed egemonici di ora. Anzi, rincorrendo i britannici stavano dandosi da fare per diventare egemonici.
Noi italiani eravamo dalla parte dei Giapponesi, che si sentivano giustificati per il loro attacco, visto che il dominio culturale egemonico americano non permetteva loro di costruirsi come potenza. Le risorse a cui avrebbero dovuto accedere, per non regredire in una posizione insulare minoritaria erano sotto il controllo dell’egemonica America. Volevano trattare alla pari: era una questione di sopravvivenza e di sicurezza nazionale. Era uno scontro tra modelli quelli sovranisti, nazi-fascisti e dell’impero del sol levante e quello democratico (nella forma e nei modi almeno). Il modello sovietico certo non era democratico, ma era un terribile e temibile concorrente di quelli nazi-fascisti.
Ci fu la guerra e anche oggi siamo in guerra, come sostiene Papa Francesco, una guerra mondiale. Ma non è lo stesso tipo di guerra. Nella Seconda guerra mondiale si faceva ancora riferimento alle categorie delle nazioni con confini fisici territoriali, sorte dalla pace di Vestfalia nel 600. Le ideologie e le culture erano le benzine che alimentavano gli scontri, come sempre, ma attenevano alle motivazioni e giustificazioni morali, più che alle questioni formali di diritto. Oggi gli schieramenti sono più divisi da una ideologia, rinata sotto le ceneri, in forma di modelli di gestione e di visioni future, mentre i diritti sui confini sono uno strumento. Anche se fondamentale per mantenere vivo un ordine negoziale. Da una parte c’è un collante ideologico-istituzionale di destra, le cui parole chiave sono: autarchia, oligarchia, religione, patria, famiglia, priorità ai valori istituzionali, di ordine superiore a quelli individuali, se non come oggetti, unità con bisogni da soddisfare, connessi da legami familistici, controllati e, eventualmente, connessi dagli strumenti digitali. Competenze tecniche sono le uniche da promuovere, visto l’inutilità del pensiero critico: tanto i valori sono determinati dall’alto.
Valori e cultura di destra, chiamiamola così, che sono lo strumento e il collante di relazioni tra soggetti schierati in un campo grande di una delle due parti in conflitto. Un solo esempio di reciproche utilità tra due compagni di schieramento, differenti per tantissime cose, ma uniti in alcuni valori di quello schema ideologico: la repressione in Iran. Può contare su due fattori: la collusione con il regime di gran parte di mariti e parenti delle donne che protestano (tradizione religiosa) e l’alleanza contro il grande satana americano fatta con la Russia, che supporta la repressione, in cambio di droni contro l’Ucraina.
Il vento ideologico, nel frattempo, è tornato a soffiare ed è diventato mondiale. Facciamo il punto su chi sta da una parte e dall’altra, secondo questo schema ideologico, così per fare un semplicistico gioco triste e crudele. Da una parte abbiamo: Cina, Russia, Iran, Corea del Nord (in cui appartenenza ideologica e posizione internazionale coincidono), poi: Ungheria, Turchia, in cui non c’è una posizione esplicitamente coincidente. Poi abbiamo un gruppo misto molto numeroso: India, Pakistan, Africa (esplicitamente neutrali), Usa di Trump, Italia (vista la grande distanza tra il dichiarato e il praticato, come sempre), Polonia, Arabia, Israele (caso anomalo ovviamente, ma che fa riferimento ad un’ideologia ortodossa), Serbia, Centro America, Croazia ecc.
Poi il terzo gruppo che si oppone al primo per cultura ideologica e posizione: Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Ucraina, Slovenia, Sudamerica, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Svezia, Norvegia, Finlandia, Usa di Biden, Danimarca, Olanda, Belgio, Austria, repubbliche baltiche, ecc.; certo che le negoziazioni per la pace sono possibili, tra il primo e il terzo schieramento con il secondo, quello misto. Ma il primo, quello dello schieramento di destra, non può negoziare con il terzo, i paesi cosiddetti democratici. È una questione di sopravvivenza, come per i Giapponesi.
L’occupazione violenta e militare delle terre di altri paesi, in stile novecentesco, non è un hobby che si sono inventati i paesi del primo schieramento, Russia in testa, perché non sapevano cosa fare. Era l’unico modo per contrastare l’egemonia culturale del sistema capitalistico. Come per i Giapponesi.
Temo, invece, che la maggioranza degli italiani si sentano di appartenere al gruppo misto. Fin dall’inizio ci si sta preparando per stare con i vincitori. È la nostra specialità. Ma è solo una considerazione aggiuntiva: non siamo determinanti-
Personalmente sono schierato e mi sento in guerra. Vuol dire, purtroppo, che plaudo anche all’efficacia e non solo alla giustificazione morale delle azioni militari della mia parte. Pur nella speranza del rispetto di regole che minimizzino comunque gli effetti sui civili.
Nonostante, mi renda conto delle esigenze di sicurezza nazionale dei Giapponesi (nel 1941), dei Russi e perché no dei Cinesi (che altrimenti esplodono), io sono schierato con quelli che rappresentano la mia visione del mondo, almeno a parole e nei valori dichiarati e scritti.
Avrei voluto combattessimo contro i Talebani, in Afghanistan (gli americani si sono ritirati), per i curdi (gli americani se ne sono andati, per tenere buoni i russi e le loro esigenze di sicurezza), contro il regime iraniano. Ma il suicidio collettivo o individuale non rientrava nelle mie priorità. E tanto meno avevo il coraggio di auspicarlo per i nostri giovani. Ora, però, almeno nei ragionamenti da intellettuali (me ne rendo conto), non farei sconti, se non almeno per una pace vera e non una tregua o una capitolazione. Pace che, naturalmente è sempre la priorità, anche per uno arrabbiato come me per gli orrori che vedo. Priorità non significa, però, valore unico, insindacabile, non negoziabile.
Anche perché, mentre posso esprimere i sentimenti che pace, giustizia e libertà mi suggeriscono, potrei anche convincermi a porre l’altra guancia, se è la mia, ma non potrei comunque spingere gli altri compagni di lotta a porgere la loro, di guancia.
(20 ottobre 2022)
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