di Marco Maria Freddi
L’articolo a firma di Luca Pelagatti pubblicato sulla Gazzetta di Parma, con il titolo evocativo e stigmatizzante “Noi, assediati da disperati nel quadrilatero dello sballo”, fa riflettere. Anche su come si scrive.
Si tratta, a mio avviso, di una costruzione semantica e visiva che trasforma le persone fragili in nemici pubblici. Si ripropone nuovamente uno stile che evoca paura, esasperazione e degrado che legittimano soluzioni securitarie e alimentano il consenso politico attraverso la semplificazione. Il linguaggio è distopico nel peggiore del senso: non descrive la realtà, ma costruisce un luogo simbolico, come il “quadrilatero dello sballo”, in cui proiettare ansie e frustrazioni, evitando di affrontare le cause sociali ed economiche del disagio.
In questo modo, si cancella l’immagine della panchina da “Mulino Bianco” dove un tempo gli abitanti scambiavano parole, ignorando il fatto che tutte le città del mondo evolvono e cambiano negli anni. Il racconto non si limita a descrivere, ma costruisce una realtà che alimenta la paura creando un “nemico”, la repressione del disturbo anziché alla risoluzione delle cause profonde di povertà e marginalità, dimostrando come la percezione di uno spazio possa essere manipolata per creare un clima di insicurezza.
Senza mai chiedersi o chiedere: dove sono le politiche pubbliche? Dove sono gli strumenti strutturali di presa in carico medico-sociale-amministrativa che pure potrebbero esistere?
Il giornalismo, se vuole servire la democrazia, dovrebbe aiutare a comprendere i fenomeni e, se non è capace di proporre soluzioni (e nemmeno è il suo compito primario), almeno non dovrebbe deformare i fenomeni del nostro tempo per magari assecondare un’opinione pubblica facilmente esasperabile e guidata dalla logica del capro espiatorio. Descrivere persone senza dimora come “disperati”, “accampati”, “barcollanti”, “senza documenti” è disumanizzante. E le immagini amplificano il senso di paura, lo costruiscono visivamente. È un’estetica dell’allarme. È pura ideologia e ideologia di destra, la più becera.
In più occasioni ho denunciato questa deriva, la povertà viene trasformata in problema di sicurezza, i poveri diventano problema urbano, e la città risponde con misure emergenziali, spesso repressive, invece che con una visione. Questa amministrazione progressista – lo ricordo a chi sempre, a sinistra, è alla ricerca di un senso dell’agire – caduta nel tranello securitario/elettoralistico – ha fatto mettere le camionette dell’esercito in stazione. Vogliamo militarizzare anche il “quadrilatero dello sballo” o l’intera città? Vogliamo rispondere alla fragilità con l’uniforme e con il manganello?
O possiamo finalmente scegliere di guardare in faccia la realtà, uscire dalla retorica del degrado urbano e umano e parlare seriamente di Povertà e Sicurezza, come due facce dello stesso impegno politico e amministrativo? Possiamo costruire una rete che tenga insieme accoglienza, assistenza sociale, sanitaria e amministrativa, percorsi abitativi quando possibile, servizi di prossimità e riduzione del danno? Possiamo smettere di inseguire l’onda emotiva e iniziare a costruire soluzioni durature e finalizzate a risolvere il problema alla radice, coinvolgendo le associazioni che operano in città in nuovi progetti e modelli?
Le 265 persone censite dalle due unità di strada, quella dei servizi sociali e quella della sanità pubblica, sono ancora tutti per strada, hanno gambe, e si muovono in città.
I miei post, le mie denunce e le mie proposte mai prese in considerazione dai partiti né tantomeno dall’amministrazione, vanno nella direzione di voler restituire dignità, cura e ascolto a chi oggi è lasciato per strada, invisibile ma visibile, criminalizzato, nella convinzione che la sicurezza non si ottiene con la paura, ma con la giustizia sociale. Che una città più sicura è una città più giusta.
E che chi accarezza la povertà solo quando vota contro i poveri, è il vero nemico del bene comune.
*Radicale e Socialista, iscritto al Partito Democratico e PSOE
(29 giugno 2025)
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