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Dalle esortazione apostoliche ai fatti mancano le chiavi

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di Marco Maria Freddi

Il 9 ottobre Papa Leone XIV ha pubblicato la sua prima esortazione apostolica, Dilexi Te, interamente dedicata ai poveri.

Dopo aver letto lo scritto di Papa Leone, rinnovo il mio appello al vescovo di Parma, Enrico Solmi, e alle congregazioni religiose della città: mettete a disposizione gli immobili inutilizzati o sottoutilizzati per accogliere i poveri che nessuno accoglie, quei poveri definiti con cinismo da politici e operatori “non autodeterminati”. Un’autodeterminazione pretesa da chi non ha la forza né la possibilità di scegliere. Poveri soli, dipendenti da sostanze o affetti da disturbi psichici, abbandonati da tutti.

Il Papa denuncia la “dittatura di un’economia che uccide”, la cultura dello scarto, la “mentalità che trasforma i poveri in colpevoli”.

Chiede una conversione della Chiesa perché “i poveri non sono un’appendice, ma il suo cuore vivo” e scrive testualmente: “Non basta offrire briciole: va restituita la dignità di figli, con case, cure, lavoro, comunità”. E ancora: “Ogni volta che un povero o un malato mentale viene respinto, è Cristo stesso che bussa e riceve un no”.

Parole altissime. Ora servono fatti altrettanto alti.

Nella nostra città esistono decine di conventi semivuoti, case di spiritualità con pochi ospiti l’anno, ex collegi, ex oratori, palazzi vescovili con interi piani chiusi da tempo. La diocesi possiede centinaia di appartamenti, negozi, capannoni e terreni. Al tempo stesso, i servizi di salute mentale sono al collasso, le comunità terapeutiche hanno liste d’attesa di mesi, i dormitori pubblici danno letto solo ai “sani”, e le persone con disturbi psichiatrici finiscono per strada o in prigione.

Per questo, ancora una volta chiedo al vescovo Enrico Solmi e alle congregazioni: “Date le chiavi”.

Ad oggi, dopo tre anni dalla prima richiesta e un unico incontro — inutile — in cui mi è stato risposto che la Chiesa “fa già tanto”, la risposta è stata il silenzio. Forse perché l’appello partiva dal basso. Forse perché, in fondo, pensiamo che i poveri con dipendenze o malattie mentali “sporchino” le nostre strutture, o più semplicemente che non tutti meritino aiuto.

Papa Leone XIV ricorda che “la carità che non si traduce in giustizia sociale resta beneficenza da salotto”. Lo diceva anche don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana, morto con il rimpianto che la Caritas, nata come fermento di comunità, rischiasse di diventare un’agenzia di servizi, un braccio operativo dello Stato più che un corpo vivo della Chiesa. Poco prima di morire affermava: “La Caritas non è un’agenzia di collocamento né un ufficio di assistenza sociale. È la Chiesa che si fa prossima. Se diventa solo un servizio, tradisce la sua vocazione”.

Ecco allora la domanda che oggi va lanciata a tutta la Chiesa italiana, al nostro vescovo Enrico Solmi e alle congregazioni religiose: se davvero “i poveri sono il cuore vivo della Chiesa”, perché quel cuore deve fermarsi davanti a porte chiuse di proprietà ecclesiastiche? Se “ogni respinto è Cristo”, perché tanti “Cristi” vengono respinti proprio da strutture che recitano il Vangelo sul portone? Se il Papa chiede “case, cure, comunità”, perché le diocesi continuano a considerare gli immobili “patrimonio da tutelare” invece che “grazia da condividere”?

Non chiedo di vendere i paramenti d’oro o di abbattere le cattedrali, né di rinunciare ai redditi provenienti dagli affitti. Chiedo semplicemente di aprire stanze vuote, di accendere la luce in corridoi spenti, di trasformare “possediamo” in “accogliamo”.

Un gesto che costa poco e testimonia molto. Come Corte dei Miracoli di Parma, abbiamo una lista di 30-40 persone che vivono ai limiti, che non possono autodeterminarsi e che hanno bisogno di casa, cure e soprattutto di una comunità. E se la diocesi teme il rischio di “improvvisazione”, può partire con un solo immobile e un anno di prova.

Caro Papa Leone XIV, Santità, il suo Dilexi te ha riacceso una speranza.

Ora, però, le sue parole rischiano di restare imprigionate nelle librerie dei seminari.

Non si tratta di “saccheggiare” la Chiesa, ma di restituirle il volto di san Francesco, che spogliò i palazzi per vestire i lebbrosi.

Nel Vangelo di Matteo (25,31-46), il giudizio finale non si misura con il numero di messe celebrate, ma con il numero di volte in cui abbiamo aperto la porta a chi bussava. Oggi bussano i poveri che non si “autodeterminano”, i poveri definiti “degrado sociale”, scarti della società, carichi residuali, malati psichici, persone con dipendenze, senza fissa dimora, sempre reduci dai pronto soccorso. La Chiesa può continuare a parlare di “opzione preferenziale” oppure può diventare essa stessa opzione, trasformando i suoi spazi vuoti in spazi di vita.

Papa Leone XIV ha scritto: “Non offriamo briciole”.

Perfetto.

Allora offra le chiavi.

 

 

(10 ottobre 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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