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Aldo Tagliaferro: il corpo, lo spazio, la memoria. A Parma fino al 29 giugno

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di Effegi

Aldo Tagliaferro occupa un posto singolare e spesso ancora troppo poco riconosciuto nella geografia dell’arte contemporanea italiana del secondo Novecento. Nato a Legnano nel 1936 e formatosi in un clima in cui la pittura e la scultura tradizionali stavano lasciando spazio a nuove ricerche linguistiche, Tagliaferro ha saputo sviluppare una poetica autonoma, capace di coniugare l’analisi della percezione visiva con una riflessione acuta sulla coscienza individuale, sul corpo e sulla memoria. La sua opera, attraversata da una costante tensione analitica e da un approccio lucidamente sperimentale, si è nutrita del clima di rinnovamento radicale che ha caratterizzato la scena italiana e internazionale tra gli anni Sessanta e Ottanta, ma senza mai aderire in modo passivo ai dettami delle correnti egemoni.

Fino al 29 giugno, la mostra “Aldo Tagliaferro. Opere nello spazio. Rappresentazione tra realtà e memoria”, a cura di Cristina Casero, nasce con l’intento di restituire la profondità e l’ampiezza di una ricerca che ha fatto della rappresentazione una forma di interrogazione politica e psicologica. Le opere in mostra – in particolare quelle di grande formato e le installazioni ambientali – vengono qui presentate accanto a lavori di artisti che con Tagliaferro condivisero momenti cruciali di elaborazione teorica e formale: Arturo Vermi, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi. Con loro Tagliaferro condivide l’interesse per lo spazio come elemento dinamico e non neutrale, e per l’opera d’arte come esperienza percettiva in cui l’osservatore è parte attiva e non semplice fruitore passivo.

Ma, se da un lato la riflessione sullo spazio e sul rapporto opera/ambiente è un terreno condiviso, dall’altro Tagliaferro se ne distacca nettamente per la radicalità del proprio sguardo. In lui l’opera non è mai pura astrazione né semplice stimolo sensoriale: è piuttosto una soglia attraverso la quale far emergere i conflitti e le tensioni che abitano l’identità contemporanea. La fotografia, usata sin dagli anni Sessanta non come documento ma come strumento di scrittura del sé, il corpo – spesso il proprio – messo in scena come luogo d’indagine e rivelazione, la parola scritta, utilizzata come elemento visivo e insieme critico, sono tutti elementi costitutivi di una pratica che interroga la costruzione dell’io in rapporto alla società, ai dispositivi di controllo, alle dinamiche del tempo e della memoria.

Fondamentale in questo senso è l’adesione di Tagliaferro alla Poetica del Comportamento, esperienza teorica e operativa che – con la sua attenzione alla dimensione esistenziale dell’arte e al superamento dell’oggetto tradizionale – trova nell’artista uno dei suoi interpreti più profondi e coerenti. Nei suoi lavori, ciò che viene messo in questione non è solo il linguaggio dell’arte, ma il linguaggio tout court: la sua funzione sociale, il suo potere normativo, la sua capacità di escludere, definire, etichettare. È in questa prospettiva che il gesto artistico di Tagliaferro assume un valore etico, politico, persino terapeutico: un tentativo ostinato di rendere visibile ciò che normalmente viene rimosso o occultato, di tracciare una mappa delle zone oscure della coscienza, di sfidare i codici imposti attraverso l’autoscrittura, l’introspezione visiva, l’autoritratto scomposto.

Il percorso espositivo, articolato in nuclei tematici e cronologici, consente di cogliere l’evoluzione coerente e al tempo stesso sorprendente del lavoro di Tagliaferro. Dalle prime prove pittoriche alla progressiva ibridazione tra linguaggi, dalle installazioni ambientali agli interventi fotografici, l’artista ha sempre mantenuto intatta una tensione interna che rende le sue opere dense, stratificate, mai univoche. Non si tratta di opere che vogliono “piacere”, ma di opere che pongono domande, che inquietano, che sollecitano lo sguardo e la mente a spostarsi, a decentrarsi, a rivedere ciò che credevamo stabile e conosciuto.

La mostra – realizzata da Fondazione Monteparma in collaborazione con l’Archivio Aldo Tagliaferro, il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC), la Galleria Elleni e Niccoli Arte – non è soltanto un omaggio a una figura centrale della neoavanguardia italiana, ma anche un invito a riflettere sulla capacità dell’arte di interrogare la realtà, di conservarne le tracce, di restituirla in forme nuove, più complesse, più vere. In un’epoca in cui l’immagine rischia di diventare superficie opaca e replicabile, il lavoro di Tagliaferro ci ricorda che vedere è anche un atto di responsabilità, e che la memoria – personale o collettiva – non è mai un archivio chiuso, ma uno spazio vivo in cui ogni gesto artistico può diventare strumento di conoscenza e resistenza.

 

 

 

 

(18 maggio 2025)

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