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Tante persone, con il naso all’insù, aguzzano la vista per cercare di vedere le tre frecce conficcate tra le travi del portico di Palazzo Isolani, ma forse non tutti sanno che, degli antichi portici come questo, con le colonne in legno tipiche della Bologna medioevale, oggi sono rimasti solo 6 brevi tratti. Così come se si passeggia in piazza San Francesco, in piazza San Domenico o in piazza Rossini, davanti al Conservatorio, forse non tutti sanno che stanno camminando su quelli che, fino all’arrivo di Napoleone Bonaparte, erano stati dei cimiteri.
Queste, e molte altre, le informazioni e le curiosità raccolte da un cittadino bolognese e oggi raccolte in “Origine di Bologna“, un vero e proprio archivio digitale che, grazie alla collaborazione con il Comune di Bologna, viene restituito a una platea più vasta di cittadini, arricchito grazie a un’armonizzazione digitale dei contenuti attraverso una mappa interattiva e un portale documentale dedicato. Tutto ciò è stato possibile grazie a un patto di collaborazione siglato tra il signor Carlo Pelagalli e l’ufficio Open Data del Settore Agenda digitale e tecnologie informatiche del Comune di Bologna.
“Credo che questo archivio digitale sia uno strumento prezioso – afferma l’assessore comunale alla cultura e promozione della città, Matteo Lepore – e ringrazio di cuore Carlo Pelagalli per averlo proposto: abbiamo risposto con entusiasmo alla richiesta di collaborazione perché questo progetto storico-documentale valorizza la divulgazione e la conservazione della cultura e della memoria storica della città che, in quanto bene comune immateriale, è meritevole di cura e diffusione”.
L’ufficio Open Data del Settore Agenda Digitale e l’Ufficio Stampa e Comunicazione hanno fornito il supporto tecnico per l’armonizzazione dei contenuti dell’archivio storico digitale e per la realizzazione del nuovo sito www.originebologna.com nonché la creazione di una sezione dedicata sul sito opendata del Comune. I materiali pubblicati descrivono la città di Bologna tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’ ‘800. Elemento centrale della pubblicazione, che la valorizza e la arricchisce, è la mappa fatta di 10 diversi livelli informativi che raccontano la storia dei nomi di strade, vie, vicoli, piazze e voltoni; la storia delle torri, degli edifici, di quelli monumentali, ma anche civili e religiosi; la storia delle abitazioni scomparse, e della numerazione dei civici antichi in vigore dall’inizio del XIX secolo fino al 1878, ma anche dell’attuale numerazione, delle botteghe storiche, delle numerose locande, trattorie, osterie, perché, si sa, Bologna è pur sempre “la Grassa”. Naturalmente non poteva mancare una sezione dedicata ai corsi d’acqua, quelli a cielo aperto e quelli tombati, e un’altra in cui sono descritti orti, giardini, prati, corti e pertinenze.
Le fonti delle informazioni sono importanti testi dei secoli XIX e precedenti e dalla cartografia storica bolognese ospitata presso la biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, e i Servizi Informativi Territoriali del Comune di Bologna, nonché dalla consultazione di manoscritti custoditi presso l’Archivio Arcivescovile di Bologna e presso l’Archivio di Stato. I testi utilizzati sono liberi da copyright e la digitalizzazione è stata eseguita dal proponente del patto di collaborazione. I vari contenuti sono sistematizzati in un nuovo portale e una nuova mappa rilasciati in formato aperto con attribuzione di licenza Creative Commons 4.0 Internazionale (CC BY 4.0), che ne permette il riuso e l’arricchimento per scopi culturali (Free Cultural Work).
Non tutti sanno che…: alcune curiosità sulla storia di Bologna contenute nel sito
Degli antichi portici con colonne lignee della Bologna medievale oggi sono rimasti solo 6 brevi tratti. La sostituzione delle colonne in legno con colonne in muratura fu avviata fin dal XIV secolo per diminuire il rischio di incendi, il 26 marzo 1568 si decretò addirittura l’obbligo della sostituzione delle colonne in legno con colonne in laterizio. Ciononostante, all’inizio del XIX, secolo ne rimanevano ancora ben 29 tratti! I 6 brevi tratti rimasti oggi sono quelli della Casa Isolani (Strada Maggiore 19), di Casa Azzoguidi (via San Nicolò 2), di Palazzo Grassi (via Marsala 12) e della casa di fronte (via Marsala 17), della casa Gombruti (via de’ Gombruti 7), della casa Rampionesi (via del Carro 4) e della casa dell’ex orfanotrofio di San Leonardo (via Begatto 19). Non figura in questo elenco la casa Seracchioli, già Reggiani, in piazza della Mercanzia: le colonne in legno sono infatti un “falso”, risultato di un restauro creativo, il calcestruzzo di cui sono fatte, di tanto in tanto, emerge tra le crepe dello strato di legno che lo ricopre.
Quando, nel giugno del 1796, Napoleone Bonaparte entrò a Bologna, trovò una città con quasi 200 chiese, chiese parrocchiali, monasteri, conventi, oratori e chiese di confraternite. Nel giro di pochi anni la maggior parte di questi luoghi religiosi fu chiuso al culto ed espropriato, ad esempio le chiese parrocchiali furono ridotte da 50 a 18. La maggior parte delle chiese all’interno della città aveva un proprio cimitero, per accogliere i corpi di parrocchiani, frati o suore. Tutti i luoghi chiamati sagrati erano in realtà dei cimiteri, erano cimiteri piazza Rossini, San Francesco, San Domenico, nonché il sagrato di San Martino Maggiore. Solo uno dei conventi espropriati, quello della Certosa, diventò Cimitero comunale facendo scomparire, uno dopo l’altro, tutti i cimiteri all’interno delle mura. L’azione di esproprio e di chiusura di chiese e conventi, ma soprattutto la drastica riduzione di monaci, frati, suore aveva una motivazione poco religiosa e molto terrena: tutti gli appartenenti al clero, come i nobili d’altronde, erano esentati dalle tasse!
Parecchie delle chiese chiuse tra fine Settecento e i primi anni dell’Ottocento oggi non esistono più o sono difficilmente riconoscibili. Tra quelle che ancora esistono, ma adesso hanno tutt’altro uso, ci sono la chiesa parrocchiale di Santa Cristina di Pietralata (che oggi è diventata il Cinema Europa mentre il cimitero parrocchiale annesso è stato trasformato in giardinetto pubblico), la chiesa già parrocchiale poi confraternale di Santa Maria Rotonda dei Galluzzi (che oggi è un negozio in via d’Azeglio 30, ben visibili ancora gli stucchi barocchi e la caratteristica pianta circolare che le valse il nome di Santa Maria Rotonda). E poi ancora la chiesa parrocchiale di San Marino di Porta Nova (che è oggi adibita ad autorimessa, in via Porta Nova 1), la chiesa di San Barbaziano, parrocchiale anch’essa, (in via Cesare Battisti 35, all’angolo con via Barberia, che oggi è usata come autorimessa), la chiesa di San Giacomo dei Carbonesi (trasformata in condominio, all’angolo tra via d’Azeglio e via de’ Carbonesi), la chiesa di San Giorgio in Poggiale (in via Nazario Sauro 20/2, oggi sede di Genus Bononiae), la chiesa parrocchiale di San Nicolò (in via San Felice 41, che oggi è un rudere senza coperto).
L’unico corso d’acqua naturale che attraversava Bologna era il torrente Aposa. La crescita della città durante il XII secolo, e la conseguente necessità di maggiore acqua, spinse i bolognesi di allora alla costruzione di due opere formidabili: il Canale di Savena ed il Canale di Reno, che convogliavano, e convogliano tuttora, parte delle acque del torrente Savena e del fiume Reno all’interno della città. L’acqua serviva per pulire e lavare, abbeverare gli animali, per irrigare, per fare defluire scarti di ogni genere, per azionare mulini e macchine idrauliche e per l’industria dei conciatori di pelli. La necessità di portare acqua ovunque servisse, fece creare una fitta rete di piccoli canali (detti canalette), con un complesso sistema di chiuse, chiaviche e chiavicotti che ne massimizzavano l’uso. Inoltre, alcune vie, sprovviste di fognatura, e chiamate androne (plurale di androna), venivano lavate con le acque derivate da questa fitta rete di canalette. Oggi il vocabolo androna non è più usato e non va confuso con il singolare androne, che indica l’atrio all’ingresso di un edificio. Nello slang dei giovani bolognesi tuttavia è rimasto il termina “landra” per indicare un odore particolarmente sgradevole.
Parecchie vie e vicoli esistenti all’inizio dell’Ottocento, per tante ragioni, scomparvero o divennero spazi privati. Tra questi, ancora oggi, si può notare un tratto di via degli Albari, che, dopo il numero 5, si dirigeva ad est per sbucare in via Guglielmo Oberdan, il tratto, tuttora esistente, è chiuso da cancelli; il vicolo di San Martino o delle Bollette o della Salara, che oggi è chiuso da un cancello tra i numeri 6 e 10 di via de’ Fusari; la via Boncompagni, lungo il fianco occidentale del palazzo Boncompagni in via del Monte 8, oggi questa via è stata inglobata giardino del palazzo; il Borghettino di San Francesco, che girava attorno all’ex monastero dei Santi Ludovico e Alessio, che oggi è diventato il carcere minorile del Pratello; il vicolo Buffoni, chiuso verso il 1840 con un portone al numero 24 di via del Borgo di San Pietro, e tanti altri ancora.
A proposito di cimiteri, la chiesa di Santa Maria Maggiore, in via Galliera 10, ha il singolare primato di avere avuto attivi simultaneamente due cimiteri, uno a settentrione ed uno a meridione della chiesa. Le due aree ex cimiteriali sono perfettamente leggibili ancora oggi: l’area a nord della chiesa è diventato un giardino privato; l’area a sud è oggi uno spiazzo asfaltato (adibito a parcheggio dei residenti) lungo il ramo meridionale di via de’ Preti. I Preti della via de’ Preti non sono i preti della chiesa, come qualcuno potrebbe a ragione pensare, visto la vicinanza di Santa Maria Maggiore, ma il nome di una famiglia Preti che aveva casa dove oggi è il numero 12 di via Galliera.
(4 gennaio 2019)
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