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Perché non firmerò la mozione del Partito Democratico per il riconoscimento dello Stato di Palestina

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di Marco Maria Freddi

Troppe volte la sinistra, per fretta o per inseguire l’onda, ha scelto strade che poi si sono rivelate sbagliate. La riforma del Titolo V del 2001, pensata anche per rispondere alle spinte centrifughe della Lega Nord, ha moltiplicato frammentazioni e opacità di governance nella sanità. Lo si è visto durante il Covid, dove la tenuta del sistema è dipesa da una babele di competenze regionali e dal sostanziale fallimento del sistema regionale.

Ancora più pesante è il Memorandum Italia-Libia del 2017 del governo Gentiloni-Minniti-Orlando: un accordo che ha alimentato esternalizzazione dei confini, respingimenti e detenzioni arbitrarie in Libia, morte e torture documentate da organizzazioni indipendenti. Un dramma quotidiano che dura da otto anni, e che dovrebbe interrogare la nostra coscienza e le nostre politiche al pari di ciò che accade a Gaza.

Siamo un Paese con un lungo addestramento all’obbedienza. Siamo un popolo che ha subito e continua a subire il plagio secolare della Chiesa Cattolica, dei santi, degli eroi e dei miracoli, che ci hanno reso incapaci di pensiero critico.

È accaduto durante il fascismo, è accaduto dal dopoguerra ed accade oggi: siamo un popolo conservatore, anche quando votavamo Partito Comunista, e lo siamo ancora oggi, senza capacità di pensiero critico. Siamo sempre pronti a seguire il leader di turno, la Meloni di turno, il giornalista di turno, i Travaglio di turno, o a candidare al Premio Nobel una persona divisiva come la Albanese, o osannare a santo una persona che aveva mille meriti ma anche pensieri tanto ideologici e divisivi come Gino Strada.

Anche a sinistra ci capita di confondere identità con appartenenza, critica con tifoseria. Qui viene al pettine la questione morale di Enrico Berlinguer in cui mi riconosco: non solo pulizia dei conti, ma responsabilità di scegliere sapendo che ogni decisione produce conseguenze reali su persone in carne e ossa.

Responsabilità morale oggi significa prendere posizione sui nodi del presente – guerre, clima, disuguaglianze, migrazioni, diritti civili – non per convenienza o per immediatezza mediatica, ma con lo sguardo lungo: scegliere, fare, misurare, rendere conto. Vuol dire pesare non ciò che è più popolare, ma ciò che è più giusto; e se una scelta genera ingiustizia o sofferenza, assumersene la responsabilità, correggere rotta, non cercare alibi.

Vengo al punto. Perché non firmerò la mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina così com’è oggi proposta.

Per tre ragioni di responsabilità:

  1. Riconoscere oggi un’entità statuale senza garanzie democratiche e di tutela dei diritti significa cristallizzare un assetto che tradirebbe le stesse persone che diciamo di voler difendere: donne, minori, oppositori, comunità LGBTIQ+, minoranze religiose e politiche. Il riconoscimento “simbolico” rischia di legittimare gruppi armati e governance non responsabili davanti ai cittadini.
  2. Sicurezza e diritti sono indivisibili. Un riconoscimento unilaterale non porta né sicurezza agli israeliani né libertà ai palestinesi. Senza disarmo delle milizie, giurisdizione indipendente, elezioni libere, controllo civile delle forze di sicurezza e garanzie internazionali, resteranno occupazione, violenza e rappresaglie incrociate.
  3. Esiste una via più onesta e più esigente che chiede tutto l’impegno del gruppo socialista in Europa: costruire un assetto federale israelo-palestinese, laico e democratico, pienamente integrato nello spazio europeo per standard di diritti, welfare, sanità, scuola e lavoro. Significa: amministrazione transitoria sotto mandato internazionale, monitoraggio dei diritti, disarmo e reintegrazione, elezioni certificate, Corte costituzionale binazionale, libera circolazione, investimenti condizionati a riforme e anticorruzione, accesso graduale ai fondi europei. Solo così si esce dall’eterno presente della guerra e si entra nel futuro della dignità.

Non è imposizione dell’“occidentalismo” ma universalismo dei diritti. Solo chi dà per scontato il privilegio di essere nato – senza alcun merito – in democrazie per quanto imperfette può permettersi di romanticizzare modelli autoritari in nome di presunte “autenticità culturali”. Io credo, invece, che la sinistra debba volere per il popolo palestinese – e per quello israeliano – ciò che vuole per sé: stato di diritto, pluralismo, uguaglianza, welfare universale, sanità pubblica, scuola pubblica gratuita, lavoro dignitoso, tutela delle minoranze. Questo è il mio metro.

Per questo non firmo la mozione: perché non basta un atto simbolico che non cambia la vita delle persone e rischia di irrigidire il conflitto. Scelgo la strada più difficile: condizionare ogni riconoscimento a garanzie vincolanti di diritti, democrazia e sicurezza reciproca, lavorando per un esito federale europeo.

Questa è, per me, la traduzione odierna della questione morale di Enrico Berlinguer: indicare la strada e rispondere delle conseguenze, senza nascondersi dietro le formule di comodo. Altrimenti la politica è solo teatro, amministrativismi. E se per dirlo devo risultare odioso o antipatico a compagne e compagni, ben venga: la complicità silenziosa è per me e la mia cultura politica molto peggio.

 

 

(13 agosto 2025)

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