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Spazi d’Ozio ( spazi d’oro) in una lunga estate calda al Teatro del Cerchio

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di Giovanni Bertani #Parma twitter@parmanotizie #Teatro

 

Scrivo questo pezzo alle undici di una calda sera di luglio. Lo faccio perché detesto l’estate con la stessa forza con cui ammiro il coraggio e le cose ben fatte. Il Teatro del Cerchio, organizzatore della rassegna “Spazi d’Ozio” al Centro Federale di Parma, malgrado sia stato abbandonato dalle istituzioni della città, di coraggio ne ha da vendere e le cose le sa fare bene.

Tanto vale che lo dica subito: ero molto riottoso ad andarci, ad affrontare il caldo, a usar forza alla mia misantropia estiva. L’ho fatto, come spunto iniziale, perché c’era in programma la lettura di due miei racconti ed ero curioso di vedere cosa ne veniva fuori. La curiosità l’ha avuta vinta e, alla fine, è stata premiante, ma non per le letture dei miei racconti, ben poca cosa in confronto a giganti come Giovannino Guareschi o Luigi Pirandello, ma per l’idea in generale, l’atmosfera da sera di vacanza, il piacere di ascoltare storie fatte di parole usate come specchi dentro i quali rifletterci, osservare ciò che siamo e scoprire cose nuove di noi stessi e di come va la vita (generalmente a rotoli).

A proposito di cose nuove. C’è stata anche la lettura di alcuni brani di Camilleri e ho scoperto che non è che non mi piaccia Camilleri, è Montalbano che mi ha sfiancato e ha offuscato il valore dell’autore. Peccato.

Comunque sia, partiamo dall’inizio. Arrivi e c’è questo grande prato, le luci delle case sono oltre il filare di pioppi che lo circondano. Si sentono i grilli anche se sei in città e odore di erba bagnata perché la sera prima è venuta giù un’acqua che Dio la mandava. In mezzo al prato c’è una simpatica costruzione in legno che ospita un bar e ci sono delle sedie sotto una veranda dove hanno montato un palcoscenico con i microfoni. Sotto la veranda il pavimento è in legno che sembra un pacato posto giapponese dove deporre le dure armi della vita di città.

A un certo punto, più o meno quando tutti erano al secondo giro di drink, è salita sul palco Gabriella Carrozza, una delle colonne portanti del Teatro del Cerchio, che ha introdotto la serata.

Si sono succedute diverse letture, e il bello sta proprio qui. Pensavo fosse la solita cosa in cui qualcuno si piazza davanti a un microfono e legge, monotono, un brano che chissà perché gli piace, seguito dal solito scroscio liberatorio di applausi alla fine. Invece no. Si trattava di letture scelte e, soprattutto, recitate. Cioè, in un certo modo, interpretate. Gli accenti erano esatti, i ritmi perfetti, la dizione ineccepibile.

Quanto a me, mentre ascoltavo e bevevo, bevevo e ascoltavo, ho scoperto una seconda cosa, dopo la questione di Camilleri. E cioè che la differenza tra la lettura e la recitazione della lettura consiste nel trasformare una storia bidimensionale e prevalentemente soggettiva (soggettiva per chi legge) in qualcosa di tridimensionale e oggettiva. Cioè tutti coloro che sono lì a osservare provano la medesima esperienza emotiva e sensoriale. Che poi la storia piaccia o meno dipende dal senso individuale del dramma, ma ciò che io ascolto e vedo è la stessa cosa che ascolta e vede colui che mi sta a fianco. Leggendo un libro nella solitudine del proprio salotto, questo non accade.

Vengo al punto della serata e tiro le somme: ci vuole maestria per creare un effetto del genere con un microfono e basta.

E coraggio per non lasciarsi abbattere.

Aspetto, come tutti colori che erano lì, il cartellone della prossima stagione del Teatro del Cerchio. Saremo ancora tutti lì ad ascoltare e vedere storie che ci parlano come un buon vecchio amico.

 


(6 luglio 2019)

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