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Editing editing delle mie brame…

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di Isabella Grassi

Qual è la funzione dell’editing? Fino a che punto può considerarsi tale la riscrittura di un testo per prepararlo alla pubblicazione? Un editing che non conservi nulla, a parte il contenuto, può considerarsi ancora opera dello scrittore originario?

Dal dizionario Treccani: “èditiṅ〉s. ingl. [dal v. (to) edit «curare l’edizione di un’opera»], usato in ital. al masch. (e comunem. pronunciato 〈èditiṅġ〉). – 1. In editoria, cura redazionale di un testo per la pubblicazione, cioè lettura attenta intesa a verificare la correttezza di ortografia, grammatica, sintassi, l’organizzazione strutturale del testo e la sua coerenza interna, l’adeguatezza dello stile, l’esattezza e la rispondenza alla realtà delle asserzioni scientifiche, storiche, ecc. 2. Per analogia, in informatica, l’insieme degli interventi svolti da un word processor al fine di editare (v.) un documento. 3. Montaggio di un film, di un programma televisivo o radiofonico.”

L’editing per quanto profondo non deve essere mai riscrittura di un testo e la differenza non è di poco conto.  “L’editor suggerisce le modifiche all’autore, dà dei consigli, fornisce degli esempi. Non riscrive le frasi al posto dell’autore! (anche se spesso, per convenienza e cortesia, sempre su permesso di quest’ultimo, qualche frase viene scritta)”: così Paola Perlini.

Se tutti siamo concordi nell’attribuire all’editor una funzione importante, è altresì vero che a nessuno può essere imposta una riscrittura totale del proprio scritto.

Vi racconto quello che è successo a me, allorché mi sono iscritta ad un laboratorio di scrittura giornalistica e critica teatrale.

Al primo incontro si presentano le curatrici del laboratorio Alice Strazzi e Francesca Rigato, dove alla domanda sul perché mi ero iscritta ho risposto: “Vorrei acquisire tecnica redazionale”.

Il laboratorio prevedeva orari in redazione e la visione di spettacoli teatrali e talk del Festival “Canile Drammatico”, per la realizzazione di articoli, interviste e recensioni da pubblicare sul sito della testata online con la quale le curatrici collaborano (li trovate a questo link). Il corso il primo giorno inizia con i migliori auspici, e cerco di partecipare con idee e progetti, rispondendo alle domande volta per volta fatte da Alice e Francesca. Ci vengono assegnati i compiti, suddividendo recensioni, interviste, e altri elaborati tra lavori singoli e di coppia. Assisto agli spettacoli del primo giorno, e pur non condividendo il fatto che per le interviste agli attori fossero state decise a tavolino le domande, mi adeguo, le faccio, le registro, le sbobino e mi presento la mattina dopo al secondo incontro redazionale. Mentre parcheggio la bicicletta Alice e Francesca mi prendono da parte e mi dicono che devo intervenire meno. Non capisco e dal quel momento sto zitta.

Le domande che erano state decise si rivelano essere un fallimento e quindi il lavoro fatto risulta inutile, ma tranquilli dicono loro, ora ne decidiamo altre, tanto gli artisti li possiamo vedere in un altro momento. La redazione, almeno per me, per quel giorno salta in quanto non ho nulla da sistemare.

Arrivano gli spettacoli della seconda serata, dove viene messo in scena quello che avrei dovuto recensire. Rispetto i termini di consegna, ma loro no… Sono indietro con quelli del giorno prima. Dopo qualche giorni comincia a editarlo Francesca con la quale arrivo ad una versione che mi soddisfa, ma… Passano altri giorni e ci mette le mani Alice che lo riscrive completamente, al ché mi rifiuto di firmarlo e così viene pubblicato come “a cura della redazione”… Nel frattempo sempre con “interventi di editing pesanti” viene messa online l’intervista al direttivo, scritta a quattro mani con un’altra ragazza del corso.

Lascio la firma, ma di mio c’è molto poco.

Qui di seguito la recensione che avevo scritto sullo spettacolo Kalergi:

Tu hai una pistola? Tu hai una pistola! | Kalergi! Il complotto dei complotti

Il pubblico in attesa si lascia guidare dalle poche luci in uno spazio teatrale scuro e scarno. Sul palco un narratore che determina gli eventi, degli attori che recitano dei brevi monologhi a un provino per lo spettacolo Piccola Compagnia di Teatro Impegnato e una regista che li dirige.

Play stop e rewind sono i tre comandi che il narratore, anima oscura del “Complotto”, utilizza per dirigere, riavvolgere e fermare la pellicola della storie di Giulia, Luca e Martina, e  sembra quasi di vedere Charlie Chaplin di “Tempi Moderni”, o le prime immagini dei fratelli Lumiere gli inventori del cinematografo.

La compagnia teatrale si rivela essere in realtà una longa manu del “Complotto Kalergi”, associazione complottistica che vuole la sostituzione etnica europea, lenta ma progressiva.

Migrazione,  Sbarchi,  Fuga dalla Guerra, Discorsi Razziali, Diritti Umani, Coscienza Civile, buon senso o semplice messa in luce de “La banalità del male”?

Improvvisamente gli attori non sono più attori sono Martina e Luca, ragazzi con le loro difficoltà di vita quotidiana, con le loro problematiche nella ricerca sul lavoro, nel rapporto con i loro genitori; la regista diventa Giulia, con le sue debolezze, con i suoi dubbi, il narratore è Kalergi in persona, e spacca il ritmo, sconvolge il vedere fra noi una anima nera.

È uno spettacolo che affronta una tematica scomoda, rendendo  duro per ogni spettatore assistere a questo cambiamento. Ognuno infatti si riflette nei diversi ruoli e con delicatezza e senza remore, pian piano  affronta le tue paure. Il regista ti guida in questo percorso, ma lo fa senza cadere nella retorica, senza scene strappalacrime,  o forzature chiedendo a te che guardi di ricercare il tuo ricordo, il tuo sentimento,  e te  lo fa emergere quasi a contraltare di quanto gli attori rappresentano

Mi ha fatto pensare alla società attuale e a quella passata, al non aver vissuto in prima persona una guerra, ma al dover subire tutti i giorni le conseguenze di un’economia allo sbando, dopo decenni di distensione e programmazione di sviluppo.

Ecco quindi che la matricola pronunciata al call center assume per me un diverso significato, facendomi  ricordare che all’inizio era stata pronunciata la parola giudeo.

E quando compaiono non una ma ben due pistole i giochi sono fatti, quella che un attimo prima era realtà diventa autofinzione, e per usare un termine più social spetterà al  pubblico decidere se l’intera storia sia una fake news o se sia veramente esistito il “complotto dei complotti”.

Le scene degli sbarchi cui oramai siamo abituati, sembrano materializzarsi durante la messa in scena, a riempire lo spazio, ad accompagnare il pubblico e assumono un significato diverso, fanno emergere il sentire comune, la ripartizione appunto tra bene e male.

I ragazzi del “Firmamento Collettivo”, hanno creato uno spettacolo che rompe sia gli schemi teatrali che la linea temporale, e lo hanno fatto con una scenografia inesistente, nuda, rappresentata solo dai loro vestiti semplici, da un cellulare e da due pistole.

L’ambiente scarno dell’inizio, si anima con un ritmo alto, ben tenuto, che coinvolge appieno il pubblico, lo catalizza e non permette distrazioni. Sotto gli occhi degli spettatori si dipana una rete di informazioni, di immagini, di pensieri. Matricola 3476548, da non dimenticare.

Stop, rewind, play, riappropriamoci della nostra vita, senza usare una pistola o con una pistola a salve.

Kalergi! Il complotto dei complotti,

di Luca D’Arrigo

regia di Adele Di Bella

con Giulia Trivero, Martina Tinnirello, Luca D’Arrigo, Carmelo Crisafulli.”

Ci tenevo a che fosse pubblicata e lo faccio in questa versione, dove ho tenuto conto dei “consigli” di Francesca, dove mi ci ritrovo e conserva il mio stile,  mentre in quella pubblicata, riscritta da Alice, decisamente no.

Una chicca: nessuna delle due sapeva che “La banalità del male” è un libro, infatti nella versione pubblicata è una delle parti che è stata omessa, eppure è presente nello spettacolo, ne fa parte e lascia il suo segno.

Ovviamente anche il mio terzo elaborato “il bestiario sul Festival” è stato rifiutato, ma questa è un’altra storia.

In conclusione il laboratorio non solo non mi è piaciuto, ma si è rivelato per me una vera e propria perdita di tempo e mi spiace veramente, visto che l’intento degli organizzatori del festival, come dichiarato da Rita Di Leo era “quello di agevolare la formazione e per tale ragione si sono svolti i laboratori gratuiti”, e che per fare ciò, per usare le parole di Gabriele Anzaldi si sono posti  “come obiettivo che tutti gli artisti a diverso titolo coinvolti debbano essere remunerati con condizioni economiche dignitose. Se in futuro non ci dovessero essere fondi sufficienti, magari faremo meno, ma intendiamo non derogare a questo principio di equo compenso.”

Il festival è stato bello e interessante, in futuro se come auspico si rifarà, lo seguirò nuovamente, e chissà che accadrà…

Ringrazio i miei compagni di redazione: Elisa Collo, Alessandro Di Giulio, Adriana Nuzzachi, Tommaso Quilici, Ginevra Zaretti, scusandomi con loro per la mia voce dissonante, e auguro loro un futuro radioso in questo mondo difficile, confidando che come futuri critici siano in grado di alzare l’asticella della cultura e dare nuovo fiato al respiro affannoso del mondo che della cultura vive.

 

 

(27 maggio 2024)

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