di Isabella Grassi
Giovedì 8 Maggio al Cinema D’Azeglio d’essai si è tenuto un’evento speciale in cui Parmafrontiere, nell’anno del trentennale di ParmaJazz Frontiere Festival, ha presentato in anteprima “Il Canto del Mondo – Capitolo 1: Il Folklore Afrocubano”, un film documentario di Luigi Bussolati, prodotto da Extrasy Produzioni.
Erano presenti sul palco, oltre al regista Luigi Bussolati, Luca Adorni per le musiche e la produzione, Ailem Carvajal (compositrice cubana), Marcos Hernández Sosa (Console Cubano), Roberto Bonati (direttore artistico ParmaJazz Frontiere Festival), e a coordinare l’evento la giornalista Maria Grazia Villa. Saluti istituzionali del Comune di Parma portati dal Vice Sindaco e Assessore alla cultura Lorenzo Lavagetto.
Una serata speciale alla quale ho partecipato volentieri, in una sala ricolma e in un ambiente quale quello del cinema d’essai che fa riappacificare corpo e mente.
Il documentario è stato, come rivela il titolo, girato a Cuba e si tratta di un progetto di più ampio respiro che vuole raccontare attraverso i canti sacri e le musiche delle origini.
Ho ricevuto l’invito da Luca Adorni e sono stata molto felice di essere presente. Il documentario mi è piaciuto, le emozioni sono forti, le immagini molto curate, anche se qualche aspetto è migliorabile. Non vi anticipo nulla e qui di seguito il resoconto della serata.
“La musica folk cubana è una musica rituale che ci riporta sempre a quelle che sono le origini che sono intimamente legate con la religione, alla spiritualità.”
Luigi Bussolati, il regista, ha iniziato così a descrivere questo primo capitolo sul Canto del Mondo, attraverso la musica che ci parla e che nasce dalla spiritualità, vista dal suo particolare punto di vista: quello del fotografo.
Il console generale di Cuba a Milano ha parlato di questo documentario come di un’idea fantastica, un contributo all’archivio documentario delle diverse espressioni che si sono sviluppate nel mondo, utile per dimostrare quanto siamo diversi e quanta ricchezza c’è in questa diversità. L’intervento parrte con una toccante memoria sull’importazione degli schiavi africani a Cuba ad opera degli spagnoli. Ci fa comprendere come mai si sarebbe potuto immaginare che quegli schiavi che arrivavano con abiti visibili ad occhio nudo, con la loro religione, i loro costumi, la loro musica, in altre parole la loro cultura che tramandavano di generazione in generazione l’avrebbero portata ad interagire a tal punto con quella dei loro padroni da genera per i loro discendenti modi di pensare e di credere molto diversi: fondando così la cultura cubana. Ecco quindi come sul piano religioso l’unione tra gli spagnoli e gli africani generò un processo di sincretismo religioso: gli africani veneravano i loro santi attraverso i santi cattolici.
I cubani scelsero come santa padrona Maria: la madre del figlio del Dio cattolico con la quale rappresentano anche la dea africana dell’amore e regina dell’acqua dolce. Altro aspetto creativo del popolo cubano è stata la fusione della musica spagnola con quella degli africani alla quale si sono aggiunte altre tendenze musicali.
“In un mondo come l’attuale dove la diversità viene rifiutata, dove il diverso viene rappresentato come una minaccia, dove si promuove il confronto e l’isolamento, varrebbe la pena di chiedersi se saremmo qui oggi a riconoscere il valore culturale della fusione musicale spirituale sviluppata a cuba se ci fosse stato un rifiuto in un’accettazione e non l’accettazione della diversità e dell’apprendimento, dimostrando che nella diversità e nel multiculturalismo c’è più bellezza e questo è il valore del film che ha creato Luigi.” con queste parole chiude il suo intervento Marcos Hernández Sosa.
Ailem Carvajal (compositrice cubana), nel prendere la parola commuove il pubblico laddove afferma che: “il documentario ci fa vedere Cuba non dal mare ma dalla terra che guarda il mare… e il mare che guarda l’infinito, sottolineando come sia importante per i cubani la terra.”
Questo documentario va a raccontare la storia del canto di quel mondo, riuscendo non solo ad accogliere storie popolari, “storie di persone che hanno una propria spiritualità ma soprattutto umanità e l’umanità come il mare guarda all’infinito”.
“Un’operazione culturalmente di spessore!” così l’assessore alla cultura Lorenzo Lavagetto, e l’augurio della giornalista Maria Grazia Villa a chi si appresta alla visione del documentario consiste nel “lasciarsi attraversare da questo documentario con l’anima ma anche con il corpo”.
Segue la visione del film, al termine della quale vi è un vivace dibattito finale moderato da Maria Grazia Villa, con Luigi Bussolati e Luca Adorni.
Questo tema dei canti di origine africana che sono dei canti sopravvissuti: come arrivano questi canti a Cuba?
Il regista Bussolati sottolinea come anche durante le riprese ha sempre visto e sentito un portato di dolore enorme, che sicuramente è la radice, l’origine di questi canti, questa musica che sembra gioiosissima e ne rappresenta la particolarità in fondo nasce da questa atrocità: lo schiavismo.Come si riesce a trasformare un trauma in bellezza, secondo te?
Risponde Bussolati: non lo so forse bisogna portarlo su un piano diverso, come hanno fatto loro, in un contenitore rituale, spostando il tutto nel Sacro. Cita Leonard Cohen: “c’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che passa la luce”, aggiungendo che probabilmente quello è stato per loro.Abbiamo visto che c’è un sincretismo tra le regioni africane e il cattolicesimo… Risponde Bussolati: gli schiavi non potevano praticare le loro tradizioni spirituali per cui confondevano le cose con i santi imposti dal cattolicesimo.
Qual è stato il vostro itinerario? Quali sono state le vostre tappe?
La domanda viene rivolta al produttore Luca Adorni che visibilmente emozionato, ricorda le emozioni vissute durante il viaggio a Cuba, ricorda che oltre a lui e al regista c’era anche Alessandro Vitale, che ha fatto le riprese e il cui contributo è stato importante anche per le sue idee, in particolare è stata sua l’idea dell’ultima scena. Luca ricorda poi che il film è dedicato a Alessandra Belledi che ora non c’è più e, tra gli applausi del pubblico, ringrazia tutti i professionisti che hanno lavorato nella post produzione.Risponde poi molto velocemente alla domanda: siamo arrivati all’Havana, per arrivare poi a Santiago che è in fondo al fiume, stile Saigon.
Come hai trovato l’equilibrio tra il rispetto del sacro e un racconto cinematografico e soprattutto com’è che hai girato questo film?
Risponde Bussolati: per questioni di privacy non ci avrebbero consentito di riprendere con telecamere e attrezzature varie, per cui è stata fatta la scelta di girare con un telefono tutto il film, con l’iphone, e questa è stata la caratteristica. E’ stata la scoperta di un linguaggio, di una praticità, è stata un po’ una rivalsa. Ci hanno messo in tasca questo arnese in modo un po’ imposto e l’ho trasformato in uno strumento operativo. Mi è piaciuta essenzialmente la possibilità di girare senza intimidire la persona, il telefonino è ormai sdoganato, anche nelle cerimonie si vedono,e consente ancora una spontaneità, si deve rinunciare alla definizione della fotografia, che è il mio mndo, ma ne apprezzo la libertà.Che cosa può imparare il pubblico occidentale da questo documentario, un pubblico che comunque fa fatica a connettersi al trascendente? Risponde Luca Adorni: la musica si ascolta con poca attenzione qui da noi. Io vengo da un epoca in cui si ascoltava il vinile, si comprava in un negozio di dischi, lo si prendeva e si ritornava a casa nella propria cameretta, dove lo si ascoltava, con una certa sacralità. Nel documentario questo c’è ancora, mentre noi abbiamo perso l’ascolto di un certo tipo.
Interviene Bussolati: aggiungo solo che secondo me come sia importante anche l’aspetto corale del canto. Il canto a Cuba è qualcosa che si fa in comunità e anche quando si canta in modo solistero si fa sempre per una comunità, quindi vi è uno scambio e in questo caso di tipo spirituale perché sono canti potremmo dire liturgici, dedicati al sacro, all’aspetto trascendente. Questi canti sono una porta che va verso altre, come altri territori della nostra vita che secondo me sono importanti e rappresente un po’ lo scopo del documentario.
Maria Grazia Villa: Questi canti che voi avete testimoniato sono effettivamente un ponte dal visibile all’invisibile, tra il passato e il presente, tra gli individui e la comunità. C’è anche questo tema secondo me molto importante che è quello dell’identità. Che cosa vi ha insegnato questo viaggio proprio sulla memoria collettiva, sulla resistenza mi verrebbe da dire culturale e anche sul significato dell’identità in una cultura comunque diasporica, perché sono stati strappati e portati altrove.
Risponde Bussolati: L’importanza di riconnettersi alle radici, tutto questo focus sugli antenati, sulle proprie radici, ti porta a considerare da dove si arriva. Noi siamo sempre proiettati verso il futuro, a rincorrere progetti, mentre invece loro (i cubani) sul presente, tutte le mattine si svegliano e dicono io vado lì e saluto tutta la mia famiglia anche se defunta. Mi hanno insegnato a tenere un altarino di tutti i defunti, a portarci un fiore e un bicchier d’acqua perchè i tuoi antenati sono ancora lì, sono dentro di te e continuano a vivere dentro di te. Se ogni mattina gli onori riconosci la loro esistenza.
Maria Grazia Villa: L’amore del corpo, addirittura il figlio di Dio che si incarna, però noi abbiamo perso dimestichezza con lo spirito che possiede il corpo, che abita il corpo, per cui anche la religione è diventata un fenomeno molto astratto molto lontano dai nostri corpi. Molto interessante quest’ultima cosa che diceva Luigi.
Alla domanda su dove si può rivedere questo film, fatta dal pubblico, risponde Luca Adorni significando che ci sarà una prossima proiezione in autunno per il festival Parmajazz Frontiere, e aggiunge come stiano lavorando per la seconda parte e stiano anche lavorando per farlo vedere il più possibile, mandandolo a vari Festival, dai quali attendono ancora le risposte.
Aggiunge poi Bussolati che spera di poterlo inserire anche in qualche piattaforma e che stanno già lavorando a un secondo capitolo, e come questa esperienza sulle radici, sulle proprie appartenenze culturali li abbia portati a ritornare nella nostra cultura e a tornare in Europa per approfondire certi canti della nostra storia.
Adorni annuncia che verrà iniziato un crowdfunding e Maria Grazia Villa tra uno scrosciare di applaudi chiude dicendo: la bellezza non muore però perché non muoia dobbiamo tutti darci da fare. Vi sosterremo.
Ho passato una piacevole serata, in un cinema storico della mia città, a vedere un film prodotto e pensato da concittadini, sono felice di esserci stata e auspico che possa diffondersi. E’ stato un modo diverso di assaporare e apprezzare la multiculturlità, senza secondi fini, solo per il piacere di condividere un momento piacevole tra musica, cinema e immagini.
(11 maggio 2025)
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